il manifesto del 08 Novembre 2008
OBIETTIVO AUTORIFORMA
Francesco Raparelli
Pensavano di aver usato le armi giuste stavolta. Dopo i manganelli della festa del Cinema, dopo le minacce di sgombero per le occupazioni, dopo le denunce e i neofascisti di piazza Navona, dopo i Cossiga e i Mantovano, il primato della comunicazione. Conferenza stampa per la Gelmini, toni meno dirigisti, anticipati dagli editoriali distensivi del Corriere, Giavazzi e Franchi in prima fila: questi giovani che protestano vogliono il cambiamento, il decreto aiuta gli studenti e i precari e combatte i baroni: la Gelmini fa parte dell'Onda! Sipario. Giochi linguistici, appunto, laddove ci si rende conto che i consensi calano e che il movimento sta vincendo e non si ferma.
Astuzie della comunicazione che ci consegnano il nocciolo profondo del tentativo di riforma gelminiano: differenziare i finanziamenti per gli atenei, imporre la logica dell'efficienza produttiva, innalzare conseguentemente le rette e introdurre il numero chiuso, il tutto accompagnato da qualche briciola per le borse di studio o i prestiti d'onore. «Ne resterà soltanto uno», recitava un vecchio film: ne resteranno solo poche, eccellenti, ben finanziate e inaccessibili ai più, salvo per chi, poverissimo, sarà disposto a caricare sulle proprie spalle ventenni debiti per decine di migliaia di euro.
La triste fine del debito privato americano la conosciamo tutti, si chiama crisi globale. Ma il movimento non si è perso nelle astuzie della comunicazione ed è andato al cuore della faccenda: senza il ritiro della legge 133 le lotte non si fermano.
La giornata di ieri ne è stata dimostrazione straordinaria: decine di migliaia di studenti e precari in corteo, a Roma, aMilano, a Napoli e in molte altre città. Niente male per una giornata di manifestazioni interamente auto-organizzate, a soli otto giorni dalla grande mareggiata del 30 ottobre. Ed è proprio a partire dallo storico risultato del 30 ottobre che il movimento della Sapienza in particolare, ma degli atenei in rivolta più in generale, ha rivolto un appello alle forze sindacali, di base e confederali, per dare vita e costruire assieme un grande sciopero generale in grado di paralizzare il paese e di imporre un'altra agenda in merito alle politiche sociali.
L'offensiva che questo governo sta infliggendo alle istituzioni del welfare ci pone di fronte a un bivio epocale: accettare la dismissione delle garanzie pubbliche, riconquistare democraticamente il welfare, trasformare questa riconquista in una grande sfida di nuova politica. Ed è proprio la democratizzazione della ricerca e della formazione in genere che sta a cuore a questo movimento. Autoriforma dell'università, la parola d'ordine che attraversa le mobilitazioni, che compone l'agenda delle discussioni di facoltà. Non solo il blocco della città come nuovo strumento di sciopero,maanche la proposta, la costruzione di un'alternativa concreta, una grande potenza auto-normativa degli studenti e dei precari della ricerca.
Lungo la manifestazione del 14, durante la due-giorni di assemblee nazionali che si svolgeranno presso la Sapienza il 15 e 16, i temi saranno questi: lo sciopero generale per un verso, l'autoriforma dell'università per l'altro. Nello stesso tempo, la necessità di articolare lo slogan che non smette di fare il giro del paese, «Noi la crisi non la paghiamo!».
*Dottorando di ricerca in Filosofia politicaAstuzie della comunicazione che ci consegnano il nocciolo profondo del tentativo di riforma gelminiano: differenziare i finanziamenti per gli atenei, imporre la logica dell'efficienza produttiva, innalzare conseguentemente le rette e introdurre il numero chiuso, il tutto accompagnato da qualche briciola per le borse di studio o i prestiti d'onore. «Ne resterà soltanto uno», recitava un vecchio film: ne resteranno solo poche, eccellenti, ben finanziate e inaccessibili ai più, salvo per chi, poverissimo, sarà disposto a caricare sulle proprie spalle ventenni debiti per decine di migliaia di euro.
La triste fine del debito privato americano la conosciamo tutti, si chiama crisi globale. Ma il movimento non si è perso nelle astuzie della comunicazione ed è andato al cuore della faccenda: senza il ritiro della legge 133 le lotte non si fermano.
La giornata di ieri ne è stata dimostrazione straordinaria: decine di migliaia di studenti e precari in corteo, a Roma, aMilano, a Napoli e in molte altre città. Niente male per una giornata di manifestazioni interamente auto-organizzate, a soli otto giorni dalla grande mareggiata del 30 ottobre. Ed è proprio a partire dallo storico risultato del 30 ottobre che il movimento della Sapienza in particolare, ma degli atenei in rivolta più in generale, ha rivolto un appello alle forze sindacali, di base e confederali, per dare vita e costruire assieme un grande sciopero generale in grado di paralizzare il paese e di imporre un'altra agenda in merito alle politiche sociali.
L'offensiva che questo governo sta infliggendo alle istituzioni del welfare ci pone di fronte a un bivio epocale: accettare la dismissione delle garanzie pubbliche, riconquistare democraticamente il welfare, trasformare questa riconquista in una grande sfida di nuova politica. Ed è proprio la democratizzazione della ricerca e della formazione in genere che sta a cuore a questo movimento. Autoriforma dell'università, la parola d'ordine che attraversa le mobilitazioni, che compone l'agenda delle discussioni di facoltà. Non solo il blocco della città come nuovo strumento di sciopero,maanche la proposta, la costruzione di un'alternativa concreta, una grande potenza auto-normativa degli studenti e dei precari della ricerca.
Lungo la manifestazione del 14, durante la due-giorni di assemblee nazionali che si svolgeranno presso la Sapienza il 15 e 16, i temi saranno questi: lo sciopero generale per un verso, l'autoriforma dell'università per l'altro. Nello stesso tempo, la necessità di articolare lo slogan che non smette di fare il giro del paese, «Noi la crisi non la paghiamo!».