mercoledì 26 novembre 2008

Senza uguaglianza la democrazia è un regime (di G. Zagrebelsky)

Una lezione magistrale di uno che le parole e il pensiero sa come usarli.
Regime, democrazia, costituzione, eguaglianza.
La Repubblica, 25 novembre 2008


Regime o non-regime? Un confronto su questo dilemma, pur così tanto determinante rispetto al dovere morale che tutti riguarda, ora come sempre, qui come ovunque, di prendere posizione circa la conduzione politica del paese di cui si è cittadini, non è neppure incominciato. La ragione sta, probabilmente, in un’associazione di idee. Se il "regime", inevitabilmente, è quello del ventennio fascista, allora la domanda se in Italia c’è un regime significa se c’è "il" o "un" fascismo; oppure, più in generale, se c’è qualcosa che gli assomigli in autoritarismo, arbitrio, provincialismo, demagogia, manipolazione del consenso, intolleranza, violenza, ecc. Così, una questione seria, anzi cruciale, viene attratta sul terreno, che non si presta all’analisi, della demonizzazione politica, funzionale all’isteria e allo scontro.

Ma "regime" è un termine totalmente neutro, che significa semplicemente modo di reggere le società umane. Parliamo di "Ancien Régime", di regimi repubblicani e democratici, monarchici, parlamentari, presidenziali, liberali, totalitari e, tra gli altri, per l’appunto, di regime fascista. Senza qualificazione, regime non ci dice nulla su cui ci sia da prendere posizione, perché l’essenziale sta nell’aggettivo.

Così, assumendo la parola nel suo significato proprio, isolato dalle reminiscenze, la domanda iniziale cambia di senso: da "esiste attualmente un regime" in "il regime attuale è qualcosa di nuovo, rispetto al precedente"? Che l’Italia viva un’esperienza costituzionale, forse ancora in divenire e dall’esito non scontato, che mira a non lasciarsi confondere con quella che l’ha preceduta: almeno di questo non c’è da dubitare. Lo pensano, e talora lo dicono, tanto i favorevoli, quanto i contrari, cioè lo pensiamo e lo diciamo tutti, con definizioni ora passatiste ora futuriste.

Non lo si dice ufficialmente e a cifra tonda, perché il momento è, o sembra, ancora quello dell’incubazione. La covata è a mezzo. L’esito non è scritto. La Costituzione del ‘48 non è abolita e, perciò, accredita l’impressione di una certa continuità. Ma è sottoposta a erosioni e svuotamenti di cui nessuno, per ora, può conoscere l’esito. Forze potenti sono all’opera per il suo superamento, ma altre forze possono mobilitarsi per la sua difesa. La Costituzione è in bilico.

Che cosa significa "costituzione in bilico"? Innanzitutto, che non si vive in una legittimità costituzionale generalmente accettata, cioè in una sola concezione della giusta costituzione, ma in (almeno) due che si confrontano. Ogni forma di reggimento politico si basa su un principio essenziale, una molla etica, il ressort di cui parla Montesquieu, trattando delle forme di governo nell’Esprit des lois. Quando questo principio essenziale è in consonanza con l’esprit général di un popolo, allora possiamo dire che la costituzione è legittima e, perciò, solida e accettata. Quando è dissonante, la costituzione è destinata crollare, a essere detronizzata. Se invece lo spirito pubblico è diviso, e dunque non esiste un esprit che possa dirsi général, questo è il momento dell’incertezza costituzionale, il momento della costituzione in bilico e della bilancia che prima o poi dovrà pendere da una parte. È il momento del conflitto latente, che non viene dichiarato perché i fautori della rottura costituzionale come quelli della continuità non si sentono abbastanza sicuri di sé e preferiscono allontanare il chiarimento. I primi aspettano il tempo più favorevole; i secondi attendono che passi sempre ancora un giorno di più, ingannando se stessi, non volendo vedere ciò che temono. Tutti attendono, ma i primi per prudenza, i secondi per ignavia.

Non voler vedere, significa scambiare per accidentali deviazioni quelli che sono segni di un mutamento di rotta; significa sbagliare, prendendo per lucciole, cioè per piccole alterazioni che saranno presto dimenticate come momentanee illegalità, quelle che sono invece lanterne, cioè segni premonitori e preparazioni di una diversa legittimità. Così, si resta inerti. L’accumulo progressivo di materiali di costruzione del nuovo regime procede senza ostacoli e, prima o poi, farà massa. Allora, non sarà più possibile non voler vedere, ma sarà troppo tardi.

* * *

Ciò che davvero qualifica e distingue i regimi politici nella loro natura più profonda e che segna il passaggio dall’uno all’altro, è l’atteggiamento di fronte all’uguaglianza, il valore politico, tra tutti, il più importante e, tra tutti però, oggi il più negletto, perfino talora deriso, a destra e a sinistra. Perché il più importante? Perché dall’uguaglianza dipendono tutti gli altri. Anzi, dipende il rovesciamento nel loro contrario. Senza uguaglianza, la libertà vale come garanzia di prepotenza dei forti, cioè come oppressione dei deboli. Senza uguaglianza, la società, dividendosi in strati, diventa gerarchia. Senza uguaglianza, i diritti cambiano natura: per coloro che stanno in alto, diventano privilegi e, per quelli che stanno in basso, concessioni o carità. Senza uguaglianza, ciò che è giustizia per i primi è ingiustizia per i secondi. Senza uguaglianza, la solidarietà si trasforma in invidia sociale. Senza uguaglianza, le istituzioni, da luoghi di protezione e integrazione, diventano strumenti di oppressione e divisione. Senza uguaglianza, il merito viene sostituito dal patronaggio; le capacità dal conformismo e dalla sottomissione; la dignità dalla prostituzione. Nell’essenziale: senza uguaglianza, la democrazia è oligarchia, un regime castale. Quando le oligarchie soppiantano la democrazia, le forme di quest’ultima (il voto, i partiti, l’informazione, la discussione, ecc.) possono anche non scomparire, ma si trasformano, anzi si rovesciano: i diritti di partecipazione politica diventano armi nelle mani di gruppi potere, per regolare conti della cui natura, da fuori, nemmeno si è consapevoli.

Questi rovesciamenti avvengono spesso sotto la copertura di parole invariate (libertà, società, diritti, ecc.). Possiamo constatare allora la verità di questa legge generale: nel mondo della politica, le parole sono esposte a rovesciamenti di significato a seconda che siano pronunciate da sopra o da sotto della scala sociale. Ciò vale a iniziare dalla parola "politica": forza sopraffattrice dal punto di vista dei forti, come nel binomio amico-nemico; oppure, dal punto di vista dei deboli, esperienza di convivenza, come suggerisce l’etimo di politéia. Un uso ambiguo, dunque, che giustifica la domanda a chi parla di politica: da che parte stai, degli inermi o dei potenti? La ricomposizione dei significati e quindi l’integrità della comunicazione politica sono possibili solo nella comune tensione all’uguaglianza.

* * *

Ritorniamo alla questione iniziale, se sia in corso, o se si sia già realizzato, un cambiamento di regime, dal punto di vista decisivo dell’uguaglianza.

In ogni organizzazione di grandi numeri si insinua un potere oligarchico, cioè il contrario dell’uguaglianza. Anzi, più i numeri sono grandi, più questa è una legge "ferrea". E’ la constatazione di un paradosso, o di una contraddizione della democrazia. Ma è molto diverso se l’uguaglianza è accantonata, tra i ferri vecchi della politica o le pie illusioni, oppure se è (ancora) valore dell’azione politica. La costituzione - questa costituzione che assume l’uguaglianza come suo principio essenziale - è in bilico proprio su questo punto.

Noi non possiamo non vedere che la società è ormai divisa in strati e che questi strati non sono comunicanti. Più in basso di tutti stanno gli invisibili, i senza diritti che noi, con la nostra legge, definiamo "clandestini", quelli per i quali, obbligati a tutto subire, non c’è legge; al vertice, i privilegiati, uniti in famiglie di sangue e d’interesse, per i quali, anche, non c’è legge, ma nel senso opposto, perché è tutto permesso e, se la legge è d’ostacolo, la si cambia, la si piega o non la si applica affatto. In mezzo, una società stratificata e sclerotizzata, tipo Ancien Régime, dove la mobilità è sempre più scarsa e la condizione sociale di nascita sempre più determina il destino. Se si accetta tutto ciò, il resto viene per conseguenza. Viene per conseguenza che la coercizione dello Stato sia inegualmente distribuita: maggiore quanto più si scende nella scala sociale, minore quanto più si sale; che il diritto penale, di fatto, sia un diritto classista e che, per i potenti, il processo penale non esista più; che nel campo dei diritti sociali la garanzia pubblica sia progressivamente sostituita dall’intervento privato, dove chi più ha, più può. Né sorprende che quello che la costituzione considera il primo diritto di cittadinanza, il lavoro, si riduca a una merce di cui fare mercato.

Analogamente, anche l’organizzazione del potere si sposta e si chiude in alto. L’oligarchia partitica non è che un riflesso della struttura sociale. La vigente legge elettorale, che attribuisce interamente ai loro organi dirigenti la scelta dei rappresentanti, escluso il voto di preferenza, non è che una conseguenza. Così come è una conseguenza l’allergia nei confronti dei pesi e contrappesi costituzionali e della separazione dei poteri, e nei confronti della complessità e della lunghezza delle procedure democratiche, parlamentari. Decidere bisogna, e dall’alto; il consenso, semmai, salirà poi dal basso.

E’ una conseguenza, infine, non la causa, la concentrazione di potere non solo politico ma anche economico-finanziario e cultural-mediatico. L’indipendenza relativa delle cosiddette tre funzioni sociali, da millenni considerata garanzia di equilibrio, buon governo delle società, è minacciata. Ma il tema delle incompatibilità, cioè del conflitto di interessi, a destra come a sinistra, è stato accantonato.

La causa è sempre e solo una: l’appannamento, per non dire di più, dell’uguaglianza e la rete di gerarchie che ne deriva. Qui si gioca la partita decisiva del "regime". Tutto il resto è conseguenza e pensare di rimettere le cose a posto, nelle tante ingiustizie e nelle tante forzature istituzionali senza affrontare la causa, significa girare a vuoto, anzi farsene complici.

Nessun regime politico si riduce a un uomo solo, nemmeno i "dispotismi asiatici", dove tutto sembrava dipendere dall’arbitrio di uno solo, kahn, califfo, satrapo, sultano, o imperatore cinese. Sempre si tratta di potere organizzato in sistemi di relazioni. Alessandro Magno, il più "orientale" dei signori dell’Occidente, perse il suo impero perché (dice Plutarco), mentre trattava i Greci come un capo, cioè come fossero parenti e amici, «si comportava con i barbari come con animali o piante», cioè meri oggetti di dominio, «così riempiendo il suo regno di esìli, destinati a produrre guerre e sedizioni». Sarà pur vero che comportamenti di quest’ultimo genere non mancano, ma non vedere il sistema su cui si innestano e li producono significa trascurarne le cause per restare alla superficie, spesso solo al folklore.

domenica 23 novembre 2008

REGGIO C./FACOLTA' ARCHITETTURA: PRESIDE, ARCH. FUKSAS HA ESTERNATO OPINIONI LESIVE

REGGIO C./FACOLTA' ARCHITETTURA: PRESIDE, ARCH. FUKSAS HA ESTERNATO OPINIONI LESIVE


(ASCA) - Reggio Calabria, 22 nov - ''Devo constatare, con rammarico, che, nella trasmissione Annozero in onda ieri su Rai 2, in prima serata, l'architetto Fuksas ha esternato opinioni fortemente lesivi sulla facolta' di Architettura di Reggio Calabria. Le frasi di carattere denigratorio nei confronti dei docenti e delle piu' alte cariche dell'Universita' Mediterranea di Reggio calabria sono state pronunciate con evidente superficialita' e disinformazione''.

Lo ha detto la Preside della Facolta' di Architettura dell'Universita' Mediterranea di Reggio Calabria,Francesca Fatta.

''Dopo un documentato servizio sull'Universita' di Messina, in cui si e' trattato degli attuali fatti di cronaca, l'arch. Fuksas ha creduto bene di lanciare battute gratuite sulla Facolta' di Architettura di Reggio Calabria, che, ricordo, appartiene ad una delle universita' che rientrano nei parametri virtuosi del MIUR. Le frasi dell'arch. Fuksas - dice l'arch. Fatta - trattano di presunti ''sfigati e portaborse'', che, nei primi anni '70, furono chiamati da Quattroni per collaborare alla fondazione della Facolta'.


Tra questi per tutti ricordo Antonio Quistelli. Proseguendo con le imprecisioni dette con evidente acrimonia e malafede - dice Fatta - non si possono accettare frasi buttate a casaccio come ''professori, presidi e rettori divenuti tali senza concorso''. Questa e' una battuta che non merita alcuna ulteriore chiosa. Vorrei che l'arch. Fuksas, sicuramente parte dello star system dell'architettura internazionale e che, per lunghi anni, ha avuto come collaboratori architetti formati in questa facolta', trovasse la voglia e il tempo di rivedere le sue attuali opinioni su Reggio Calabria. E' nata piccola e romana, e questo per noi e' un vanto, poiche' rivendichiamo i Maestri che ci hanno preceduto. Oggi la facolta' di Architettura conta oltre 130 docenti strutturati, in gran parte siciliani e calabresi, oltre 750 matricole e piu' di 3000 studenti. Siamo cresciuti e, benche' periferici, non ci sentiamo affatto marginali nel panorama nazionale ed internazionale''.

''Mi auguro che l'infelice intervento - conclude l'arch. Fatta - non si ritorca sulla nostra immagine, perche' sarei costretta a chiedere gli eventuali danni e in questi tempi di ristrettezze economiche non sarebbe poi cosi' male.

Fuksas ad Annozero: comunicato stampa del Rettore della "Mediterranea"

21 novembre Fuksas ad Annozero: comunicato stampa del Rettore
Annozero di giovedì 20/11/2008

Chiunque conosca Massimiliano Fuksas avrebbe capito, vedendo l’ultima puntata di Annozero, che l’architetto romano, sul tema dell’Università in generale, e sull’Università Mediterranea di Reggio Calabria in particolare era animato da risentimenti personali .

Il suo parlare concitato e, soprattutto, il lapsus più volte ripetuto (tre) su di un preside “fisico- storico delle scienze”, lasciava trasparire coinvolgimenti emotivi, noti a tutti. Almeno a tutti quelli che conoscono personalmente Massimiliano dall’Università, cioè ai suoi colleghi romani che, ancora giovanissimi, non in grado quindi di essere, come da lui affermato, “sfigati” erano stati chiamati da Ludovico Quaroni e successivamente da Antonio Quistelli a lavorare in una sede oggettivamente difficile e, a costo di notevolissimi sacrifici personali, alla nascita di una nuova Università. Nomi, tra gli altri, al centro del dibattito, come quelli di Franco Purini e Laura Thermes, Sandro Anselmi o Renato Nicolini, o di Lucio Valerio Barbera, Antonino Terranova e Tato Dierna, attualmente esponenti di rilievo della romana Sapienza che hanno contribuito ad impostare una scuola.
E mi domando: può una trasmissione della rete pubblica, in prima serata, permettere ad una persona, per quanto autorevole, di fornire, senza alcun contraddittorio, tra allusioni e denigrazioni umorali, una rappresentazione fuorviante e gravemente lesiva di una realtà istituzionale?

E Fuksas è una persona autorevole. Un architetto da tutti conosciuto. Progetta e realizza opere in ogni parte del mondo. I libri che parlano delle sue opere sono tradotti in moltissimi paesi. Fa parte dello star system dell’architettura mondiale: oggi un concorso lo vince uno, domani l’altro e così via. Nello scambio incrociato delle commissioni. Altrimenti che circuito sarebbe? Chiuso e impermabile a nuove inclusioni.

Molti studenti, di sedi centrali e periferiche, guardano a questi architetti ammirati, con il desiderio di apprendere l’arte del progetto. Le forme di un sogno. Per emularli e competere, una volta laureati, dove la vita professionale, il caso o la ventura li porterà.

E i nostri giovani architetti, nei 400 e più comuni della Calabria, quando non al nord o in Francia o altrove, con l’entusiasmo e le competenze acquisiti qui da noi, nel loro piccolo, contribuiscono ogni giorno, con la cultura e il progetto, a rendere migliore un territorio per molti versi da altri disastrato, sia dal punto di vista architettonico che ambientale. Temi, costantemente, all’attenzione della nostra Università.

Tra l’altro, anche Fuksas ha avuto come collaboratori molti giovani architetti provenienti dalla facoltà di architettura di Reggio Calabria. Contento di lavorarci assieme. Presumo per quanto sapevano e per l’intelligenza e l’entusiasmo che mostravano nel farlo. Contribuendo, per queste ragioni, in alcuni casi a lanciarli in contesti internazionali.

Da un architetto di successo come Massimiliano Fuksas gli studenti di architettura di una facoltà periferica come quella della Mediterranea, s’aspettano lezioni e conferenze, immagini e belle architetture, più generosità. Parole che siano d’incitamento e non di denigrazione solo perchè nati in una terra periferica (nell’era d’internet, della globalizzazione, ma via?).

Antonio Quistelli, fondatore e primo Rettore della Mediterranea, in un incontro con il Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi, ebbe a dire, lui napoletano che lavorava a Roma con Ludovico Quadroni: “Vede signor Presidente per alcuni di noi lavorare in una Università calabrese ha il significato di una scelta di vita. Fare cose in questa terra ha un valore diverso che farle a Roma o Milano. Perché queste cose possono contribuire, tra l’altro, a diffondere una cultura della legalità che lentamente permetta alla Calabria la crescita civile, economica e sociale che la sua gente si merita.”

Un’ultima cosa sulle cariche di preside e di rettore, richiamate da Fuksas. E’ a tutti noto che sono cariche elettive, votate, con regole trasparenti, dalla comunità scientifica della facoltà per il preside e dell’intero ateneo per il rettore. Con il voto di centinaia di persone, monitorato dagli organi di stampa e da tutto il pubblico di una regione partecipe.

Massimo Giovannini
Rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

Crollo scuola: "Qui si muore andando a lezione"

Una zia del ragazzo morto nella scuola: "Gli istituti fanno schifo"
Il sindaco: "Una morte bianca". Il Codacons: "Una tragedia annunciata"

Rivoli, polemica sulla sicurezza
"Qui si muore andando a lezione"

Il presidente della Repubblica: inquietanti interrogativi sulla sicurezza nelle scuole
Il ministro Gelmini: "Una tragedia incomprensibile"

RIVOLI (Torino) - "Fate vedere in che condizioni sono le scuole e che si può morire a 17 anni andando a lezione". La zia dello studente morto è la prima a lanciare l'accusa più bruciante quella che il Codacons riassume in una battuta: "E' una tragedia annunciata". "Allucinante", il commento del ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli.

Il crollo del controsoffitto al liceo scientifico di Rivoli, pur nel momento di dolore e commozione, scatena la polemica. La zia di Vito che, con i genitori del ragazzo, ha raggiunto la scuola dopo la tragedia, dice ai fotografi e ai giornalisti: "Fotografate cosa è successo, fate vedere che le scuole italiane fanno schifo anche al Nord. E che si può morire a 17 anni, andando a lezione a scuola".

"E' una vergogna che in una scuola succedano queste cose" ha accusato la madre di Andrea, 17 anni, il più grave dei tre feriti ricoverati nell'ospedale Cto di Torino. Il ragazzo è in prognosi riservata, nel centro grandi traumi: ha riportato fratture alla colonna vertebrale con lesioni al midollo. "Siamo preoccupati - ha ribattuto il padre - speriamo non rimanga paralizzato. Se dovesse succedere non so come potrebbe reagire. E' un dramma incredibile, sono distrutto" ha aggiunto.

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, "profondamente addolorato" per la sciagura che "solleva inquietanti interrogativi sulle garanzie a presidio della sicurezza negli istituti scolastici", ha incaricato il prefetto di Torino, Paolo Padoin, di "rappresentare alla famiglia della vittima le espressioni del suo cordoglio ed esprimere agli studenti feriti l'augurio di pronta guarigione".

"Una tragedia veramente incomprensibile, non è possibile che un ragazzo perda la vita a scuola" ha detto il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, al termine di un incontro con le istituzioni locali e le forze dell'ordine svoltosi a Rivoli. "Sono qui per esprimere la mia vicinanza personale e del governo - ha aggiunto - a tutte le persone che sono state coinvolte in questa tragedia. Ai ragazzi e alle loro famiglie e, in modo particolare, alla famiglia del ragazzo che qui ha perso la vita". Il ministro ha poi aggiunto che "nel prossimo decreto, elaborato con la protezione civile, abbiamo previsto uno stanziamento straordinario per la manutenzione delle cento scuole più a rischio in Italia". Ma, come suggeriscono numerose associazioni che da tempo lanciano l'allarme sicurezza negli edifici scolastici, non esiste un monitoraggio cui fare riferimento.

Il sindaco di Rivoli, Guido Tallone, parla della tragedia nella scuola definendola "una morte bianca". "Non si risparmia sulla sicurezza nelle scuole - aggiunge - bisogna mettere da parte le tante inutili parole che sono state fatte ultimamente sulla scuola".

"Si tratta di una tragedia annunciata - afferma il presidente Codacons Carlo Rienzi - infatti il 75% degli istituti scolastici presenti sul nostro territorio non è sicuro poichè mancano diversi certificati previsti dalla legge. Da anni denunciamo lo stato di fatiscenza delle scuole italiane senza ottenere alcun intervento delle istituzioni a salvaguardia dell'incolumità degli studenti".

"In questo momento terribile, anche a nome di tutti i colleghi senatori, vorrei far giungere ai familiari del ragazzo rimasto ucciso i sentimenti della mia profonda tristezza e del cordoglio" sono le parole del presidente del Senato, Renato Schifani, in un messaggio fatto pervenire al prefetto di Torino dopo aver appreso "con sgomento" le notizie del crollo del tetto del liceo di Rivoli.

"Ho appreso con profondo dolore la notizia. Desidero esprimere ai familiari di Vito Scafidi il cordoglio mio personale e della Camera dei deputati, insieme a un augurio di pronta guarigione per i feriti" ha dichiarato il presidente della Camera, Gianfranco Fini.

La tragedia di Rivoli "non è una fatalità". E' il parere di Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil, che sottolinea "la pessima condizione degli edifici scolastici nel nostro paese. Una questione annosa che denunciamo da tanto tempo". "La gran parte degli edifici non è conforme alle norme di sicurezza e sono fatiscenti, la legge 626 non è applicata. Molte scuole sono a rischio" spiega il sindacalista per il quale quanto accaduto "può succedere ogni giorno". Ciò che serve, "urgentemente, è un rigoroso monitoraggio delle strutture e l'investimento di risorse. Ecco anche perché - aggiunge Pantaleo - non si può risparmiare sulla scuola".
(22 novembre 2008)

Fonte: Repubblica

Crollo scuola a Torino

Il pm Guariniello: questa tragedia insegna che "bisogna investire in sicurezza"
Migliorano le condizioni dei compagni tranne Andrea, ricoverato al Cto, che dovrà subire un altro intervento

Rivoli, nuovo sopralluogo al liceo Darwin

Seconda operazione per il ferito grave

TORINO - A Rivoli oggi è il giorno del dolore e dello sgomento, mentre procedono le indagini tra le macerie nell'aula della quarta G del liceo Darwin dove ieri è crollata la controsoffittatura e il tubo in ghisa che nascondeva. Un cedimento che ha provocato la morte di Vito Scafidi, uno studente di 17 anni. Migliorano invece le condizioni dei suoi compagni di classe rimasti feriti tranne Andrea, il più grave, che dovrà subire un altro intervento e rischia di rimanere paralizzato.

Va avanti l'inchiesta aperta dalla procura che indaga per disastro e omicidio colposo a carico di ignoti, mentre dilagano le polemiche sulla sicurezza negli edifici scolastici. Nuovo sopralluogo del procuratore aggiunto, Raffaele Guariniello, tra i primi ieri a recarsi sul luogo della tragedia: "Stiamo raccogliendo la documentazione, e stiamo sentendo dei testimoni", ha detto, sottolinenando che sarà "importante", per la procura, il lavoro svolto sin da stamani dai consulenti tecnici. "Da tutti questi elementi - ha detto il procuratore aggiunto - conterei che si riesca a dare una spiegazione di questo evento". In ogni modo, da eventi di questo tipo "bisogna trarre sempre degli insegnamenti - sottolinea il pm Guariniello - in questi ambienti, sia di lavoro che nelle scuole dove mandiamo in nostri figli, bisogna investire in sicurezza".

Intanto all'istituto si va avanti è sono già scattate nella parte non sequestrata dalla magistratura, le verifiche delle controsoffittature da parte dei tecnici. "L'edificio è vecchio e in passato ha avuto qualche problema - ha detto oggi la preside, Maria Torelli che questa mattina era nel suo ufficio - ma mai, ripeto mai, abbiamo avuto problemi con i controsoffitti. Questo è il fine settimana più brutto della mia vita. Sono vicinissima alle famiglie degli studenti, in particolare a quella di Vito Scafidi. Non lo conoscevo di persona perché la scuola ha più di mille studenti e conosco solo quelli che mi creano dei problemi. E Vito non era tra questi".

A Rivoli oggi hanno fatto un sopralluogo anche il presidente della Provincia, Antonio Saitta e l'assessore provinciale all'istruzione Umberto D'Ottavio. Nel pomeriggio, intanto, si svolgerà a Torino, davanti a Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell'Università, un presidio di studenti e genitori su quanto è successo ieri al liceo di Rivoli.

Intanto Andrea Macrì, 17 anni, il più grave dei feriti, già operato alla colonna vertebrale al Cto, dovrà subire un nuovo intervento. "Le condizioni di Andrea Macrì - ha detto stamattina Antonio Miletto, direttore del dipartimento di emergenza del Cto - sono buone. Ha subito un intervento di stabilizzazione della colonna vertebrale per completare la quale avrà bisogno di una seconda operazione che verrà effettuata domani o martedì al massimo. Soltanto dopo questo secondo intervento sarà possibile effettuare una valutazione neurologica. Resta quindi la prognosi riservata".

Il rischio è che Andrea Macrì possa rimanere paralizzato agli arti inferiori. Il giovane, che è sedato, è arrivato cosciente in ospedale. Si ricordava ciò che era successo. "Ha reagito con molta forza - ha spiegato Miletto - chiedeva dell'amico morto. Probabilmente gli era vicino quando è crollato il soffitto. Prima dell'intervento è stato affiancato da un gruppo di psicologi".

Migliorano, invece, le condizioni delle altre due ragazze ricoverate al Cto. Netto il miglioramento per Cinzia che ha una prognosi di 20 giorni e che sarà dimessa nei prossimi giorni mentre Federica, che ha riportato una frattura vertebrale che non necessita di intervento chirurgico e senza danni neurologici, ha una prognosi di 60 giorni. "E' stato terribile, l'ho vista davvero grigia", racconta oggi Federica dal letto dell'ospedale, "per un attimo ho temuto il peggio".

"Non sono della quarta G - racconta la ragazza - ero lì per salutare la mia amica Cinzia e organizzare con lei il sabato sera, ma all'improvviso è accaduto quello che ormai sapete. Purtroppo mi hanno riferito che Vito non ce l'ha fatta e mi hanno anche detto di Andrea", il ragazzo che rischia la paralisi. "Mi dispiace davvero tanto", dice nascondendo la commozione dietro gli occhiali da vista.
(23 novembre 2008)

Fonte: Repubblica

CROLLO SCUOLA: STRUTTURE INSICURE, A RISCHIO 2 SU 3

CROLLO SCUOLA: STRUTTURE INSICURE, A RISCHIO 2 SU 3

Vecchie, prive di manutenzione, costruite in zone ad alto rischio sismico, e con impianti elettrici non sempre a norma, per non parlare del certificato prevenzione incendi e dell'agibilità' statica. Le scuole italiane sono insicure, e la tragedia di Torino, dove il crollo del tetto di una scuola ha causato la morte di uno studente di 17 anni, non fa altro che confermare un drammatico trend. Tre scuole su quattro, secondo il Codacons, non sono a norma.

Solo il 25% degli edifici, infatti, ha sia il certificato di agibilita' statica, sia quello di agibilita' igienico sanitaria, sia il certificato prevenzione incendi. Un'analisi pessimistica? Probabilmente no, se lo stesso ministero dell'Istruzione dopo un'indagine ha individuato 10mila scuole non sicure. E una recente indagine di Legambiente rincara la dose: uno studente che entra oggi nel mondo della scuola ha grosse probabilita' di trovarsi in un edificio vecchio e fatiscente (il 52,8% e' stato costruito prima del 1974, cioe' prima che entrassero in vigore gli attuali criteri di edilizia antisismica), e privo di manutenzione. Appena il 6,26% degli edifici sono stati costruiti in tempi recenti, dal 1990 al 2006, e resiste un 4,49% che risale addirittura all'800 se non prima.

Meno della meta' delle scuole, il 47,11%, ha goduto di qualche intervento di cura straordinaria negli ultimi 5 anni, e il 23,62% necessiterebbe di interventi urgenti. Senza contare le strutture sportive, che spesso sono un optional (il 36,57% delle nostre scuole ne e' completamente sprovvista) e il rischio sismico: tre scuole su quattro sono costruite proprio in zone ad alto rischio, ma il 40% non ha il certificato di agibilita' statica. E il Piemonte spicca per l'eta' delle sue scuole: quasi meta' (il 47,7%) e' stato costruito prima del 1974, e il 41,4% (tra cui il liceo di Rivoli) e' ospitata in edifici storici.

Fonte: Repubblica

Il nastro che svela Concorsopoli

Il nastro che svela Concorsopoli

MESSINA - «Quando ho deciso che mi dovevo opporre a questo "sistema" il mio pensiero è anche andato al mio amico e collega Matteo Bottari (ucciso nel 1998, ndr). Ho subito minacce, intimidazioni; ma non potevo permettere che diventasse docente uno, chiunque esso fosse, che non avesse i meriti e le qualità. E non sono stato il solo, tutta la commissione ha valutato non idoneo il candidato raccomandato dal rettore Tomasello». Chi parla, per la prima volta con i giornali, è Giuseppe Cucinotta professore ordinario della facoltà di Veterinaria di Messina che con la sua denuncia ha provocato un vero e proprio terremoto nell' ateneo. Le sue dichiarazioni hanno portato al rinvio a giudizio del rettore, che sarà processato insieme a ventidue tra docenti e dirigenti dell' università messinese il 5 marzo prossimo.

L' accusa: avere truccato concorsi per fare diventare docenti e ricercatori figli di altri docenti, di magistrati, di esponenti della Messina che conta. «Non lo potevo e non lo volevo fare - prosegue Cucinotta - non sarei stato a posto con la mia coscienza e così ho denunciato tutto alla magistratura. Spero solo che il mio non sia stato un gesto inutile, e che possa dare speranza a tanti giovani che sono figli di nessuno». Per alcuni mesi il professor Cucinotta ha girato con addosso un registratore, raccogliendo su nastro le minacce e le intimidazioni che gli venivano inviate dal rettore e da altri docenti per pilotare il concorso che avrebbe dovuto essere vinto da Francesco Macrì, figlio di un pro-rettore.

Le minacce cominciarono ad arrivare subito dopo il bando di quel concorso fatto ad hoc. Il professore Orazio Catarsini, ex preside della facoltà di Veterinaria, «messaggero» del rettore Tomasello si incontra con il professor Cucinotta e lancia un avvertimento. Catarsini: «Giuseppe, io sono soltanto un messaggero del Magnifico e con questo concorso sta scoppiando una bomba. Questo concorso lo deve vincere Macrì, in caso contrario non avrai più protezione e la magistratura aprirebbe un' inchiesta...». Pochi giorni dopo è il turno di un altro «messaggero», il docente di veterinaria Giovanni Caiola. Caiola: «Guarda che se non vince il figlio del professor Macrì ti tagliano le gambe e per te ci saranno tempi duri. Se non vince Macrì il concorso deve andare in bianco».

Ma non è soltanto il professor Cucinotta ad avere paura. Anche il candidato Filippo Spadola è terrorizzato per le pressioni ricevute. Telefonando ad un amico gli confida: «Ho partecipato a quel concorso ma ci sono problemi, il professor Cucinotta si è messo contro il sistema mafioso messinese». Quando il professor Catarsini viene interrogato dal pm Nastasi, conferma: «Fui convocato dal rettore e mi prospettò cosa stava accadendo per quel concorso che stava assumendo una direzione non auspicata, in quanto non sarebbe stato dichiarato idoneo il figlio del professor Macrì, persona per la quale il concorso era stato bandito. Questo perché il professor Cucinotta faceva delle resistenze. Il rettore mi chiese in modo accorato e pressante di intervenire su Cucinotta. Un eventuale rifiuto avrebbe comportato una presa di distanza del rettore dal Cucinotta stesso». - DAL NOSTRO INVIATO FRANCESCO VIVIANO