domenica 2 novembre 2008

Un camion carico di spranghe...



Un camion carico di spranghe... (C.Maltese - La Repubblica)


AVEVA l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane" sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi.


Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove.


Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei tricolori. Urlano "Duce, duce". "La scuola è bonificata". Dicono di essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta, basta, andiamo dalla polizia!" dicono le professoresse.


Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire".


Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: "Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di Roma Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?". "Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia. "Vogliono fare passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra". La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto".


Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì".


È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati".


Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro: "Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza. Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.


Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente, Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si ritrae.


A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".


(30 ottobre 2008)

POLITICA


« L'uomo è per natura un animale politico »

(Aristotele, Politica)

Secondo un'antica definizione scolastica, la politica è l'Arte di governare le società. Il termine, di derivazione greca (da polis "πόλις", città), si applica tanto alla attività di coloro che si trovano a governare (per scelta popolare in democrazia, o per altre ragioni in altri sistemi), quanto al confronto ideale finalizzato all'accesso all'attività di governo o di opposizione.

Definizioni

Volendo tentare una definizione potremmo dire che la politica (dal greco πολιτικος,politikós) è quell'attività umana, che si esplica in una collettività, il cui fine ultimo - da attuarsi mediante la conquista e il mantenimento del potere - è incidere sulla distribuzione delle risorse materiali e immateriali, perseguendo l'interesse di un soggetto, sia esso un individuo o un gruppo. La prima definizione risale ad Aristotele ed è legata al termine "polis", che in greco significa la città, la comunità dei cittadini; politica, secondo il filosofo Ateniese, significava l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, la determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano. Altre definizioni, che si basano su aspetti peculiari della politica, sono state date da numerosi teorici: per Max Weber la politica non è che aspirazione al potere e monopolio legittimo dell'uso della forza; per David Easton essa è la allocazione di valori imperativi (cioè di decisioni) nell'ambito di una comunità; per Giovanni Sartori la politica è la sfera delle decisioni collettive sovrane.

Branche della Politica

La politica si può suddividere in tre branche in base all'aspetto della società e dei suoi rapporti in cui viene analizzata. Le tre branche sono politics, policy e polity. Per politics si intendono le dinamiche attuate dai vari partiti o gruppi di pressione per riuscire a conquistare il potere politico. Le dinamiche sono ovviamente differenti in base al sistema di riferimento, che può essere democratico o meno. Per policy si intendono le leggi o altri atti giuridici attuati dal potere politico per gestire la cosa pubblica. Per polity si intende il consenso da parte della collettività al potere politico e la coesione intrasocietaria delle classi. Questi tre aspetti si intrecciano e influenzano tra di loro, attuando più complesse dinamiche e aspetti socio-politici.

Storia

Età classica

In Grecia erano note tre forme di governo e le relative degenerazioni (la suddivisione appartiene ad Aristotele):

  • Politeia - simile alla democrazia del linguaggio attuale (la sua corruzione: Democrazia - nel linguaggio corrente demagogia): il governo in cui a comandare è la massa.
  • Aristocrazia (Oligarchia): Dal greco Aristoi (i migliori) si intende il governo dei più adatti a governare in contrapposizione alla sua corruzione Oligarchia (Da Oligoi pochi) ovvero il governo di alcuni, non necessariamente i migliori. Il termine aristocrazia è passato a indicare il ceto dei nobili anziché la forma di governo. C'è inoltre da notare come un'ulteriore degenerazione possa essere l'Oclocrazia cioè il "governo della feccia del popolo".
  • Monarchia (Tirannide): da Monos (solo) indica il governo di un sol uomo. Il termine Tiranno indicava colui che si impossessava illegalmente del potere. Nell'antica Grecia non aveva il significato spregiativo attuale ma indicava solamente l'"illegalità" del potere.

Da notare che nel mondo ellenico era conosciuta anche la Diarchia ovvero il governo di due uomini come accadeva a Sparta.

Età moderna

Nel 1500 il termine politica viene rivisto anche da Machiavelli che con il suo trattato Il principe, la analizza e ne identifica una nuova definizione distinguendo da un'etica civile, un'etica diversa, concependo quindi un'etica dello stato come attore superiore all'uomo. Crea quindi il termine "Ragion di stato" che manterrà sempre ben separato dal termine politica la cui accezione per Machiavelli rimarrà in assoluto positiva, (la frase "il fine giustifica i mezzi" è stata attribuita falsamente al Machiavelli). Machiavelli intendeva dare alla politica un'autonomia che il Clero dell'epoca non era disposto a concedere. Verrà censurato dai suoi contemporanei e criticato in tutta Europa per le sue dichiarazioni. Stessa sorte toccherà un secolo dopo a Thomas Hobbes che pur avendo riconosciuto la migliore forma di governo nel Sovrano assoluto considerava la sua funzione derivante non dalla volontà divina (come stabiliva la tradizione) ma da un patto originario tra uomini liberi. Al contrario di Hobbes, John Locke non solo non vedeva nell'attribuzione al sovrano di tutti i poteri la soluzione alla conflittualità della società ma anzi formulò l'idea che il sovrano doveva rispettare i diritti fondamentali come la proprietà privata. Fondamentale è nella storia del pensiero politico l'opera di Montesquieu "L'ésprit des lois" (Lo spirito delle leggi) dove viene formulata la distinzione dei poteri come principio base per evitare la tirannide.

Età contemporanea

Nell'Ottocento Karl Marx formulò la dottrina del materialismo storico: la storia dei sistemi sociali e istituzionali è determinata da una struttura che deriva la sua "forma" dai rapporti economici in essere. L'economia rappresenta la base della società, che viene ad essere modellata e influenzata dai rapporti economici (la struttura), la quale, proprio perché alla base dell'organizzazione sociale, concorre in maniera basilare a determinarne i vari assetti sociali, culturali ed ideologici (sovrastruttura). Marx sottolineò che tuttavia il rapporto non è da considerarsi in maniera semplicemente deterministica.

Nel Novecento, l'arte della politica è diventata anche laboratorio pratico delle teorie politiche. Si sono sviluppati, infatti, una moltitudine di sistemi diversi di gestire la cosa pubblica. Accanto alle monarchie di inizio secolo si svilupparono le prime democrazie borghesi, e contemporaneamente i primi esperimenti di applicazione pratica del socialismo, la maggior parte dei quali sfociati in sistemi oppressivi. Nella prima metà del secolo a queste forme si affiancarono i totalitarismi ed autoritarismi di destra, derivanti dalla crisi delle fragili democrazie.

Negli ultimi anni la politica è andata via via trasformandosi, includendo come soggetto la cosiddetta società civile, fatta di movimenti di opinione che cercano di sottrarla all'astrazione in cui è stata sempre confinata: la politica si fa globale e nella coscienza di molti si delinea come stato in costante divenire delle relazioni sociali ed economiche.

Uno degli strumenti di intervento della società civile nell'azione politica istituzionale sono apparsi sempre più spesso i referendum di iniziativa popolare, sia in ambito nazionale, sia sempre più spesso in ambito regionale o locale.

Riforma Gelmini: Seby Romeo rilancia nel chiedere l'impegno del Comune

di Peppe Caridi - Il consigliere comunale del Pd (nella foto sopra), ha voluto depositare, come anticipato pochi giorni fa, un odg in Consiglio Comunale proprio sulla questione dell'istruzione: oggi ne precisa le motivazioni in modo dettagliato, e sottolinea gli intenti del gesto: "spero di aprire un dibattito proficuo in modo tale che allarghi i soggetti in campo con l'iniziativa istituzionale da parte del Comune".

"Da un mese a questa parte - esordisce Romeo - diverse manifestazioni si sono avute in tutto il Paese, da ultimo lo sciopero del 30 Ottobre accompagnato da cortei in tutte le principali città dove hanno partecipato tutti i soggetti che vivono il pianeta scuola ed università: studenti, genitori, docenti e personale addetto, compresa la sorella del Ministro. Non era mai successo ed oggi è sotto gli occhi di tutti,i diversi attori dell’istruzione sono uniti nella lotta,cosa li muove?
I tagli della Gelmini,divenuti legge,rappresentano la molla che ha fatto scattare la mobilitazione,il tentativo del Governo di trattare la formazione come una questione ragionieristica è stato bocciato sonoramente dalla stragrande maggioranza degli italiani. Penso che sul carattere pubblico del nostro sistema formativo si giochi una battaglia che non è ideologica (non ci sarebbe niente di male) ma bensì concreta: rimanendo così le cose, mancheranno i fondi per garantire a tutti il diritto all’istruzione,con una doppia penalizzazione per i Comuni del Sud e delle aree montane dell’Italia colpite dagli”accorpamenti” indiscriminati voluti dal Governo e impugnati vittoriosamente al Tar da tanti Comuni della Calabria e della nostra Provincia:la questione è anche al centro di uno scontro istituzionale nella conferenza Stato-Regioni,a tal proposito la volontà del Ministro di “commissariare”le Regioni inadempienti rivela una concezione dirigista e goffa del Federalismo… I ricercatori ed i precari
- continua Romeo - verranno espulsi dai processi occupazionali con buona pace del lavoro giovanile,anche per quello qualificato e di livello. Le Università del Sud non potranno andare avanti senza fondi e l’ipotizzata costituzione di fondazioni appare irreale visto il contesto di grave crisi che purtroppo attanaglia il Mezzogiorno d’Italia."

Con queste motivazioni, il consigliere del partito guidato da Walter Veltroni fa il punto sulla situazione dell'istruzione e della legge Gelmini.
Da una parte possono esserci dei dubbi, o comunque bisogna un attimo riflettere, sul fatto che manifestazioni di piazza e cortei come quelli dei giorni scorsi "non erano mai successi ad oggi": in realtà ogni anno, nel mese di ottobre, a scuola si sciopera soprattutto quando ci sono riforme, è stato così per la riforma Treu, per quella Berlinguer, per quella Moratti e così via ... anche se è chiaro che la mobilitazione quantitativa - nei numeri - difficilmente ha raggiunto quella di quest'anno in cui gli universitari si sono uniti ai protestanti delle scuole.
Bisogna anche un attimo soffermarsi sui "tagli della Gelmini": ad onor del vero i tagli sono stati apportati dalla manovra finanziaria varata a giugno e approvata a luglio dal governo; la legge Gelmini, nei suoi otto articoli, non prevede alcun tipo di "taglio" ( Click qui per leggere direttamente dalla Gazzetta ufficiale il decreto Gelmini nel suo formato integrale, approvato in legge dal parlamento ) e se le motivazioni delle manifestazioni sono quelle dei tagli bisognerebbe interrogarsi sul perchè si sciopera adesso che, guarda caso, vengono persi giorni di scuola in cui gli studenti non studiano e i docenti non lavorano, e non lo si è fatto invece durante l'estate quando veniva approvata la finanziaria che davvero prevedeva quei tagli, ma evidentemente in quel periodo poco importava a studenti e docenti che erano beatamente in vacanza.

C'è qualche dubbio anche sul fatto che il governo sia stato "bocciato sonoramente dalla stragrande maggioranza degli Italiani", almeno a fidarsi dai sondaggi. L'ultimo è stato pubblicato proprio stamattina sul Corriere della Sera (pag. 8, realizzato da Renato Mannheimer che non è conosciuto come un sondaggista vicino a palazzo Chigi), e fa emergere come il 45% degli Italiani approva i contenuti della riforma, mentre il 24% non li conosce e il restante 31% non li approva.

D'altra parte però biogna dire che l'intento di Seby Romeo è più che lodevole. L'idea di attivare un tavolo di discussione sembra apprezzata anche tra le file della maggioranza, ed è l'essenza di una società democratica. Inoltre Romeo propone misure concrete che, pur con i limiti delle risorse di un ente locale come il Comune, potrebbero - se realizzate - aiutare davvero le famiglie e fare in modo che il Comune si possa muovere concretamente a favore dei cittadini e degli studenti.

"In questi giorni si è dibattuto abbastanza, anzichè continuare ritengo più utile - rilancia Romeo - assumere una qualche iniziativa volta a dare un contributo possibile, per il livello istituzionale che mi compete: per questi motivi ho depositato un odg in Consiglio Comunale frutto di una riflessione condivisa con la dott.ssa Nava e i rappresentanti degli studenti, che ringrazio per il contributo, con la ferma intenzione di attivare un ragionamento sulla situazione che coinvolga gli eletti del popolo e le parti interessate e rappresentative.
Il Comune di Reggio deve assumere una chiara posizione di condanna verso i tagli schierandosi al fianco dei reggini che hanno manifestato in massa il loro dissenso e aprire un tavolo che coinvolga tutti i soggetti in lotta, ragionando di una serie di proposte utili a sopperire con risorse e progetti a quanto venuto meno a causa delle decisioni del Governo"

Così grazie a Romeo nel prossimo consiglio comunale si discuterà del decreto, e la speranza (in primis proprio del consigliere del Pd) è che non ci sia un muro contro muro sui contenuto del decreto, ma che invece si possa pensare in modo costruttivo, propositivo e concreto a come fare per incentivare le misure a favore di studenti e cittadini.
Il "leiv-motiv" del gesto di Romeo è quello di un'apertura mirata a un confronto che dia risultati tangibili.

E già Seby Romeo ne lancia alcuni: "Penso ad un sistema di trasporti e mobilità gratuito, finalmente efficiente ed al servizio degli studenti di ogni ordine e grado, al finanziamento del diritto allo studio per gli istituti reggini e l’Università Mediterranea, magari con il finanziamento di un capitolo di Bilancio ad hoc, ad una progettazione mirata all’occupazione mediante una regia territoriale capace di integrare sociale e produzione,servizi e cultura. Sono consapevole - precisa il giovane consigliere del Pd - che il Comune da solo non ha a disposizione le risorse necessarie, ma intanto possiamo aprire una discussione , indicare la rotta e chiamare al tavolo gli altri Enti locali, sapendo che ad esempio la Regione Calabria ha annunciato in questi giorni ingenti investimenti per l’istruzione e la ricerca. Il diritto allo studio - conclude Romeo - è una questione sulla quale si misura il grado di civiltà e maturità democratica di un Paese,impegnarsi per garantire l’accesso al sapere a tutti è un dovere cui non possiamo sottrarci."

Il Processo di Bologna

Il Processo di Bologna

Il processo di Bologna è un processo di armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore, nato nel 1999 quando 29 ministri dell'istruzione europei si incontrarono a Bologna per sottoscrivere un accordo, noto come la Dichiarazione di Bologna.

Gli obiettivi sono in breve:

  • la creazione di un'Area Europea dell'Istruzione Superiore
  • la promozione nel mondo del sistema di istruzione superiore europeo
  • l'armonizzazione dei sistemi universitari europei

Peculiarità italiane

L'Italia, sebbene abbia adottato un sistema di base 3+2, si discosta da tutti gli altri paesi europei per alcune peculiarità, cosa che ha spesso sollevato polemiche, visto che di fatto impedisce l'armonizzazione dei titoli accademici.

Per esempio il grado di dottore viene conseguito in tutti gli altri paesi partecipanti solo dopo la conclusione di quello che in Italia viene denominato dottorato di ricerca mentre in Italia la laurea di primo livello è sufficiente; in questo modo il termine "dottore" ha un significato anche sociale notevolmente inferiore di quello che ha all'estero. Inoltre anche il termine master assume in Italia un valore differente che non nel resto del mondo: si tratta in Italia di un corso aggiuntivo post-laurea a livello universitario, mentre al di fuori dei confini nazionali per master si intende la laurea specialistica biennale. Va anche considerato che per diploma in molti stati europei si intende la laurea di primo livello, mentre in Italia si intende il titolo conseguito alla fine della scuola media superiore.

Fonte: Wikipedia

Pietro Calamandrei, 1950

Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle.

Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.


Pietro Calamandrei, 1950

La differenza tra partito e movimento

La differenza tra partito e movimento è presto detta: il partito si colloca sul terreno della politica, cioè del potere, i movimenti invece su quello del raggiungimento di obiettivi parziali.
Ogni volta che i soggetti sociali oppressi e/o semplicemente settori di cittadinanza, si trovano ad affrontare un problema che intendono risolvere in forma collettiva, danno vita ad un movimento: sindacato, comitato, associazione, rete, coordinamento. Questi organismi possono anche offrire intere visioni del mondo, ma, nei fatti, cercano di raggiungere i loro obiettivi parziali, ne siano o meno coscienti. Il piano del politico invece ha per fine la conquista del potere politico.

A seconda dell'orientamento del partito, questa conquista può prendere la forma della partecipazione al governo o quella del rovesciamento del potere statale o di altre visioni strategiche più o meno intermedie. I movimenti dunque sono parziali, mentre i partiti (o comunque i soggetti politici) sono, o dovrebbero essere, complessivi. L'ambizione dei partiti cioè è, o dovrebbe essere, quella di riassumere anche le rivendicazioni parziali dei movimenti, o di dare delle risposte a quelle istanze sul piano del politico. Ma il viceversa non esiste: i movimenti non si collocano sul piano della conquista del potere politico, comunque la si intenda.

Naturalmente, nella storia, gli "sconfinamenti" tra un piano e l'altro sono a dir poco numerosi, ma proprio lo studio di questi ci indica come la suddivisione che abbiamo descritto non sia astratta, studiata a tavolino, ma discenda dalla realtà storica, che si incarica, indipendentemente dalla volontà dei protagonisti, di ricollocare, alla fine di situazioni confuse, ognuno "al proprio posto".
Vi sono partiti monotematici che hanno cercato di portare direttamente sul piano della politica la parzialità, cioè le tematiche specifiche, di un movimento. Ad esempio i Verdi. Ma ovunque in Europa la fragilità di queste formazioni (sparizioni, riaggregazioni, ricambi completi del proprio elettorato, paurose oscillazioni elettorali) dimostra la provvisorietà della loro collocazione sul piano del politico.

Perché la realtà produce in forma naturale questa "divisione del lavoro" tra partiti e movimenti?

I movimenti perseguono obiettivi parziali, per questo le persone che vi aderiscono sono più numerose di quelle che militano nei partiti. Un lavoratore può essere assolutamente favorevole a difendere il proprio salario con lo sciopero ma, per quanto contraddittorio ciò possa sembrare, può allo stesso tempo votare a destra. Vi sono molte persone che solidarizzano sinceramente con le popolazioni del Terzo Mondo e dunque si spendono a favore del consumo critico e contro il FMI, ma, all'ora del voto, scelgono partiti moderati. Ciò costituisce una contraddizione solo se si adotta il punto di vista del piano politico, cioè un punto di vista complessivo, che dà una spiegazione, non necessariamente corretta, di tutte le parzialità riconducendole ad una sola logica. Ma non è così dal punto di vista del movimento, che ha una visione parziale. Il movimento cioè risponde ad un bisogno di massima unità per il raggiungimento di un obiettivo specifico. Porre problemi di prospettiva politica viene percepito dalla massa degli attivisti di movimento come un attentato a questo sforzo, come un tentativo di divisione, e per questo è solitamente respinto come "strumentalizzazione".

La coscienza della parzialità, non è quasi mai presente però, nel militante medio di movimento. La tentazione di vedere il mondo attraverso la lente del movimento cui si appartiene è forte, e spontanea. Difficile trovare ad esempio un militante ambientalista che non sia convinto che tutto debba essere ricondotto alla lotta per il rispetto delle compatibilità della natura, o un attivista del consumo critico che non giuri che il cambiamento vero dipenda dall'adesione individuale ad un altro stile di vita.

P2 - Piano di rinascita democratica

P2 - Piano di rinascita democratica



Il cosiddetto piano di rinascita democratica, parte essenziale del programma piduista, consisteva in un assorbimento degli apparati democratici della società italiana dentro le spire di un autoritarismo legale che avrebbe avuto al suo centro l'informazione.

I suoi obiettivi essenziali consistevano in una serie di riforme e modifiche costituzionali onde


« …rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori »


In particolare andavano programmate azioni di Governo, di comportamento politico ed economico, nonché di atti legislativi, per ottenere ad esempio nel settore scuola di


« …chiudere il rubinetto del preteso automatismo: titolo di studio - posto di lavoro… »


Il piano è stato ritrovato e sequestrato nel 1982 alla figlia di Licio Gelli, gran maestro della loggia P2, assieme al memorandum sulla situazione politica in Italia. È stato pubblicato negli atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2 [1].

Sebbene la P2 sia stata scoperta, alcuni punti del piano sembrano abbiano comunque trovato realizzazione negli anni seguenti: a livello istituzionale, di assetto economico nel mondo imprenditoriale e soprattutto a livello mediatico.

Principali punti attuati o proposti:

  • La nascita di due partiti "l'uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l'altra sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale)." allo scopo di semplificare il panorama politico. Questi, a trent'anni di distanza, coinciderebbero rispettivamente con il Partito Democratico ed il Popolo delle Libertà. Il sospetto potrebbe trovare fondamento nel fatto che il leader del secondo partito, Silvio Berlusconi, era iscritto alla P2, nonchè nella presenza di diversi piduisti in entrambe le formazioni politiche.
  • Controllo dei media. Il piano prevedeva il controllo di quotidiani e la liberalizzazione delle emittenti televisive (all'epoca permesse solo a livello regionale) allo scopo di controllarle, e in questo modo influenzare l'opinione pubblica. Prima della scoperta della loggia questo aspetto era giunto a realizzazione con il controllo dei principali quotidiani e l'acquisizione di telemilano58 (poi Canale 5). Dopo la scoperta della loggia questo aspetto del piano sembra sia portato avanti dall'iscritto Silvio Berlusconi che ha acquisito altri due canali televisivi e allo stato attuale controlla direttamente o indirettamente alcune testate giornalistiche.
  • Progetto Bicamerale del 1997 (Commissione parlamentare per le riforme costituzionali)."ripartizione di fatto, di competenze fra le due Camere (funzione politica alla CD e funzione economica al SR)" che coinvolse principalmente Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi, appunto i leader dei due maggiori schieramenti.
  • Riforma della magistratura: divisione tra ruolo del P.M. e del magistrato, responsabilità del CSM nei confronti del parlamento. Tema nell'agenda politica dalla fine della Prima Repubblica e tuttora attuale. Si osserva che introdurre la responsabilità del CSM nei confronti del parlamento sarebbe tecnicamente una subordinazione del potere giudiziario al potere legislativo, e quindi verrebbe meno la separazione dei poteri. La modifica, infatti, necessiterebbe di una riforma costituzionale.
  • Riduzione del numero dei parlamentari[2]
  • Abolizione delle province. Trova corrispondenza nel programma elettorale di Forza Italia del 1994, 2001 e del Popolo delle Libertà del 2008, limitatamente alle province al cui interno vi sono "città metropolitane"[2].
  • Abolizione della validità legale dei titoli di studio. Nel programma di Forza Italia del 1994[2].

Licio Gelli sostiene che le coincidenze non sarebbero casuali.[3] Dello stesso avviso Mario Guarino, Sergio Flamigni[4] e Umberto Bossi[5]. È stato ipotizzato che l'attuazione possa essere stata facilitata dalla mancata epurazione degli iscritti alla P2 nelle varie istituzioni pubbliche (fatta esclusa magistratura[2] e Democrazia cristiana). Si sospetta, ad esempio, che i tre decreti legge sul radiotelevisivo (tra il 1984 e 1985) e la Legge Mammì, emanati per permettere a Fininvest di trasmettere (la legalità era discussa), siano stati facilitati dagli iscritti della P2 presenti nel PSI oltre che dallo stesso Craxi, indicato dal piano della P2 come uno degli esponenti politici con cui prendere contatti per l'attuazione del piano stesso.

Nel novembre del 2008 Licio Gelli afferma che Silvio Berlusconi (Presidente del Consiglio eletto nell'aprile 2008) è l'unico che può realizzare il Piano. [6]

Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Piano_di_rinascita_democratica

Informazione.

29 Ottobre 2008 - Il Parlamento del decreto Gelmini va chiuso


30 Ottobre 2008 - Beppe Grillo a Bologna, le contestazioni


1 Novembre 2008 - Dario Fo e l'antro della tigre


2 Novembre 2008 - La nuova P2 e le vecchie BR