Scuola..caro Nicolò io penso che... |
Martedì 04 Novembre 2008 11:46 Strill.it |
Carissimo Nicolò, più che matti queste migliaia di studenti e ricercatori mi sembrano dei facinorosi. Anzi matti e facinorosi allo stesso tempo, sfaticati e ciuchi, “indottrinati” e “ideologizzati” che “si sono bevuti il cervello”. Ma che razza di pretese hanno: vorrebbero un futuro, vorrebbero un lavoro, vorrebbero progettare la propria vita, vorrebbero far fruttare anni e anni di studio, fatica e spese….ma sono proprio matti!!! Vorrebbero ad esempio che qualcuno in questo Paese si ricordi ogni tanto della Costituzione. Tutti (?) conoscono l'articolo 33: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento»: la scienza è accostata all'arte e ne viene proclamata ed esaltata la libertà. O ancora l'articolo 9, che appartiene al primo blocco di 13 articoli (quelli, caro Nicolò, che elencano i principi fondamentali). Quest'articolo afferma che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica». E perché non ricordare anche, per chi lo avesse dimenticato, l'articolo 4? Recita così «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Costituzione, progresso spirituale, diritti??? Ma di che cosa stiamo parlando, qui si procede a colpi di decreto e di tagli: tagliamo tutto, tagliamo soprattutto laddove non si vede il prodotto finito o dove comunque il prodotto non è materiale e questo prodotto si chiama sapere, si chiama cultura, si chiama “avere i mezzi per poter giudicare, per poter criticare, per poter avere un’idea”. Allora riavvolgiamo il nastro e torniamo indietro di un paio di mesi: capiremo così che in Italia nessuno sta ipotizzando una riforma della scuola e/o dell’Università, come lei, signor Nicolò, ci vuol far credere (ma non si preoccupi, è in dolce compagnia…). Una riforma ci vorrebbe, eccome ci vorrebbe!, ma qua non la sta proponendo nessuno, mi creda: questa non è una riforma, questa è un’enorme sforbiciata! Una sforbiciata iniziata in un’afosa giornata estiva, portata avanti a colpi di decreto nel colpevole e vergognoso silenzio generale (vero PD?). Nasceva allora la legge 133/2008 che convertiva in legge il decreto 112/2008, “recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”: un enorme calderone in cui si è messo proprio di tutto. Ma che cos’è un decreto? Lei, che fa politica da tanti anni sicuramente lo saprà, ma lo vorrei ricordare ugualmente. Il decreto è uno strumento legislativo disciplinato dall’art. 77 della Costituzione (ancora Lei!), viene presentato dal governo al Presidente della Repubblica, il quale, dopo aver verificato la costituzionalità, lo firma. Dopodiché il decreto viene presentato alle Camere e diventa subito efficace, con il Parlamento che si impegna a convertirlo in legge entro sessanta giorni, altrimenti i suoi effetti decadono. Lo stesso articolo 77 prevede che lo strumento del decreto possa essere adottato in “casi straordinari di necessità e urgenza”. Prima domanda: dov’era l’urgenza?? Provo a dare una risposta, premettendo che è innegabile che negli ultimi quindici anni si sia abusato del decreto legge, ma è altrettanto innegabile la furbata dell’accoppiata Berlusconi-Tremonti (povera Maria Stella, chi gliela fatta fare?). Infatti la presunta riforma universitaria è stata abilmente camuffata all’interno di un provvedimento di mera natura economica, collegato alla legge finanziaria, la quale viene approvata in blocco, con il governo che sempre più spesso si avvale della fiducia. Non dimentichiamo che l’art. 75 della Costituzione non ammette il referendum popolare abrogativo “per le leggi tributarie e di bilancio”. Lei, signor Nicolò, conoscerà bene anche le date: decreto presentato il 25 giugno, analisi iniziata il 2 luglio, conversione in legge il 6 agosto in appena 9 minuti e mezzo!! Tutto ovviamente con l’opinione pubblica ipnotizzata non tanto dal caldo (che certo non mancava), quanto da quelle seriose discussioni sulla paura dell’uomo nero, dell’immigrato che tanto terrore ci provoca (o meglio, ci provocava, visto che il governo ci ha liberato anche da questa fobia che per un anno e mezzo ci ha impedito di vivere).Che capolavoro! Ma che cosa prevede la legge 133 per quanto riguarda il mondo universitario? Essendo una legge di natura economica non prevede ovviamente riforme contenutistiche (come lei ci vuol far credere), ma solo provvedimenti finanziari. Qualche esempio: il comma 13 dell’art. 66 stabilisce che per il triennio 2009-2011 le assunzioni e le stabilizzazioni del personale a tempo indeterminato non devono superare il 20% delle unità cessate l’anno precedente. Per l’anno 2012 il tetto è del 50%. Inoltre il fondo per il finanziamento ordinario dell’Università è ridotto a 1441, 5 milioni di euro nell’arco di 5 anni, in ragione del blocco del turn over. L’art. 16 prevede che le Università abbiano la possibilità di trasformarsi in fondazioni di diritto privato. E’ facile prevedere che con tutti i tagli ( o meglio le essenzializzazioni, che parolona!) effettuati, tale possibilità si traduca per gli atenei in obbligo, senza trascurare un altro aspetto preoccupante: l’aumento delle tasse universitarie (che ovviamente saranno giustificate con la solita inflazione). E già le immagino le fondazioni private reggine o meridionali fare a gara per mettere le mani sull’ultimo baluardo del sapere pubblico. A proposito un’idea mi balena per la testa: perché non affidare le gloriose università di Reggio e Messina a chi ci sta per regalare quel gioiello chiamato Ponte sullo stretto? Che scenario da brividi… Ma ammettiamo pure che questi finanziamenti privati arriveranno davvero: secondo lei in che settore confluiranno prevalentemente? Secondo me (e le assicuro che non sono un matto)in facoltà quali ingegneria, chimica, informatica. E chi ama l’arte, la filosofia, la storia, il greco o il latino (insomma il famoso prodotto non finito) che fine farà? E non sarebbe comunque un controsenso chiedere aiuto ai privati, oggi in ginocchio davanti allo Stato per elemosinare finanziamenti pubblici? Non dimentichiamo che l'Italia è attualmente il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda le attività di ricerca e sviluppo. La percentuale di queste attività, rispetto al Pil, è di poco più dell'1%, di fronte a una media europea del 2% abbondante. Lo scarso impegno dell'Italia in questo settore è ancora più grave se paragonato a quello decisamente superiore dei paesi asiatici emergenti, in particolare della Cina. Questo paese è spesso visto come un pericolo in quanto produce beni di largo consumo a basso costo, facendo concorrenza all'industria italiana; attualmente questo non è vero in quanto la nostra industria tende a coprire un settore di qualità più elevata. Tuttavia, se gli attuali rapporti di investimento rimarranno costanti nei prossimi anni, possiamo tranquillamente prevedere un sorpasso da parte della Cina anche nei settori tecnologicamente avanzati, lasciando ben poco spazio anche alle attività industriali di punta. Né ha senso argomentare che bisogna ridurre queste spese a causa della crisi economica (a proposito, dov’era questa benedetta crisi internazionale fino a qualche mese fa?). Al contrario proprio la crisi richiede un maggior intervento dello Stato, ed è ben noto che gli investimenti in ricerca e sviluppo sono i più efficaci. Non solo il governo si muove nella direzione sbagliata, ma quello che è peggio, effettua tagli indiscriminati, indipendentemente dalle reali necessità degli enti di ricerca e delle università. Tagliare tutto un comparto con una stessa proporzione per ciascuna delle sue componenti è il contrario di governare, è irresponsabile incapacità di fare delle scelte. E proprio così che i nostri governanti pensano al nostro futuro. Sarò stato pure catastrofista, ma anche il buon Leopardi, spesso etichettato come pessimista, invitò “ottimisticamente” l’umanità a stringersi in “social catena”per un futuro diverso. E se questa social catena ci sarà davvero ? Sarebbe bello: precari,cococo, dottorandi, sissini, sfruttati e ….matti, tutti uniti contro chi ci sta rubando il futuro. E solo utopia? Ernesto Romeo, precario ma non matto. |
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