Messina, l' ateneo ad amici e parenti
FRANCESCO VIVIANO MESSINA - Dentro il tempio del sapere, nell' università di Messina, è in corso un vero e proprio terremoto giudiziario che ha coinvolto i vertici dell' ateneo della città dello stretto. Tutto provocato da "Parentopoli" (raccomandazioni e minacce a studenti per non partecipare ai concorsi truccati dove il vincitore era sempre "figlio di") e presunte tangenti per l' affidamento della vigilanza del policlinico messinese. E dopo il rinvio a giudizio del Magnifico Rettore, Franco Tomasello che sarà processato il 5 marzo prossimo insieme ad altri 23 tra docenti e docenti ricercatori e funzionari d' ateneo a vario titolo imputati di concussione, abuso d' ufficio in concorso, falso, tentata truffa, maltrattamenti e peculato per alcuni concorsi truccati, l' inchiesta si allarga a amcchia d' olio ed in procura arrivano nuove denunce, nuovi scandali.
Ed in questo bailamme giudiziario è coinvolta, per un' altra vicenda, proprio la moglie del rettore, Melitta Grasso, dirigente universitaria, accusata di aver favorito, in cambio di "mazzette", una società che si era aggiudicata l' appalto, per quasi due milioni di euro, della vigilanza del Policlinico di Messina. Un appalto che adesso costa appena 300 mila euro. Alla Procura della Repubblica di Messina, al nostro giornale ed alle forze dell' ordine, sono giunte denunce, anonime e firmate, di alcuni docenti ed aspiranti ricercatori ed associati che raccontano quanto accade dentro l' ateneo messinese, vero e proprio feudo di una ventina di famiglie, presidi, docenti, ricercatori e funzionari amministrativi che si aiutato l' un l' altro presiedendo commissioni d' esami che consentono lo "scambio" di assunzioni di figli, generi, nipoti e amici stretti.
Il tappo è saltato proprio per uno di questi concorsi truccati, quello bandito lo scorso anno per un posto di associato alla facoltà di medicina Veterinaria che doveva essere vinto, "ad ogni costo", da Francesco Macrì, figlio del prorettore, Battesimo Macrì e sponsorizzato proprio dal rettore Franco Tomasello. Molti aspiranti a quel posto furono intimiditi e minacciati per non presentarsi al concorso e lasciare vincere il figlio del prorettore. Accadde però qualcosa di straordinario per l' Università, il docente di Veterinaria, Giuseppe Cucinotta che aveva incoraggiato i suoi allievi a partecipare a quel concorso che era stato fatto su misura per Francesco Macrì, denunciò i fatti alla Procura della Repubblica.
La Commissione che presiedeva il concorso definì il raccomandato dal padre, Battesimo Macrì e dal rettore, Franco Tomasello «carente di preparazione di base, in possesso di superficiale conoscenza della materia, scarsa capacità espositiva e sensibilità didattica». Il concorso lo vinse uno sconosciuto Filippo Spadola ma non fu facile per lui ottenere la chiamata del Consiglio di Facoltà. Soltanto dopo un anno, dopo essersi rivolto alla magistratura ed agli organi di giustizia amministrativa, il signor Filippo Spadola ottenne finalmente il suo posto. E quando fu chiesto un parere al delegato del rettore, il professor Raffaele Tommasini, se si poteva ritardare la "chiamata" di Spadola, in una conversazione intercettata diceva: «Bastava dire che l' idoneo non corrispondeva al profilo richiesto dalla Facoltà». Ed un altro docente, Antonino Pugliese, diceva candidamente che non importava se il candidato, raccomandato dal padre e dal rettore, «nel corso delle prove non avesse neanche potuto definire la carie».
Insomma all' Università di Messina tutto si può o si poteva fare anche perché le "famiglie" si proteggevano l' una con l' altra. Io assumo tua figlia, tua nuora, tuo nipote e tu assumi i miei parenti. E non è un caso, come ha scoperto il settimanale messinese Centonove che il 50 per cento dei 1.500 docenti dell' Università messinese ha almeno un omonimo. Sono tutti padri, mogli, figli, generi, nuore, nipoti, cugini o quasi parenti. - FRANCESCO VIVIANO
Ed in questo bailamme giudiziario è coinvolta, per un' altra vicenda, proprio la moglie del rettore, Melitta Grasso, dirigente universitaria, accusata di aver favorito, in cambio di "mazzette", una società che si era aggiudicata l' appalto, per quasi due milioni di euro, della vigilanza del Policlinico di Messina. Un appalto che adesso costa appena 300 mila euro. Alla Procura della Repubblica di Messina, al nostro giornale ed alle forze dell' ordine, sono giunte denunce, anonime e firmate, di alcuni docenti ed aspiranti ricercatori ed associati che raccontano quanto accade dentro l' ateneo messinese, vero e proprio feudo di una ventina di famiglie, presidi, docenti, ricercatori e funzionari amministrativi che si aiutato l' un l' altro presiedendo commissioni d' esami che consentono lo "scambio" di assunzioni di figli, generi, nipoti e amici stretti.
Il tappo è saltato proprio per uno di questi concorsi truccati, quello bandito lo scorso anno per un posto di associato alla facoltà di medicina Veterinaria che doveva essere vinto, "ad ogni costo", da Francesco Macrì, figlio del prorettore, Battesimo Macrì e sponsorizzato proprio dal rettore Franco Tomasello. Molti aspiranti a quel posto furono intimiditi e minacciati per non presentarsi al concorso e lasciare vincere il figlio del prorettore. Accadde però qualcosa di straordinario per l' Università, il docente di Veterinaria, Giuseppe Cucinotta che aveva incoraggiato i suoi allievi a partecipare a quel concorso che era stato fatto su misura per Francesco Macrì, denunciò i fatti alla Procura della Repubblica.
La Commissione che presiedeva il concorso definì il raccomandato dal padre, Battesimo Macrì e dal rettore, Franco Tomasello «carente di preparazione di base, in possesso di superficiale conoscenza della materia, scarsa capacità espositiva e sensibilità didattica». Il concorso lo vinse uno sconosciuto Filippo Spadola ma non fu facile per lui ottenere la chiamata del Consiglio di Facoltà. Soltanto dopo un anno, dopo essersi rivolto alla magistratura ed agli organi di giustizia amministrativa, il signor Filippo Spadola ottenne finalmente il suo posto. E quando fu chiesto un parere al delegato del rettore, il professor Raffaele Tommasini, se si poteva ritardare la "chiamata" di Spadola, in una conversazione intercettata diceva: «Bastava dire che l' idoneo non corrispondeva al profilo richiesto dalla Facoltà». Ed un altro docente, Antonino Pugliese, diceva candidamente che non importava se il candidato, raccomandato dal padre e dal rettore, «nel corso delle prove non avesse neanche potuto definire la carie».
Insomma all' Università di Messina tutto si può o si poteva fare anche perché le "famiglie" si proteggevano l' una con l' altra. Io assumo tua figlia, tua nuora, tuo nipote e tu assumi i miei parenti. E non è un caso, come ha scoperto il settimanale messinese Centonove che il 50 per cento dei 1.500 docenti dell' Università messinese ha almeno un omonimo. Sono tutti padri, mogli, figli, generi, nuore, nipoti, cugini o quasi parenti. - FRANCESCO VIVIANO
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